Il Mondo animale: l’Ibis
L’ibis egizio, quello rappresentato dai geroglifici, è un trampoliere che vive ancor oggi nelle piane paludose e basse del Nilo.
Visto che viene rappresentato con il corpo bianco e il collo, il becco e la coda neri esso rappresenta la specie chiamata Geronticus aethiopicius.
Presso gli Egizi l’ibis fu ipostasi di Thot, il Verbo creatore.
Spesso, tra l’altro, questo dio fu rappresentato con la testa dell’ibis, proprio a rafforzare questo legame.
Ricordiamo anche l’insegnamento egizio: che la tua lingua sia connessa al cuore.
Tale indicazione mette in relazione quanto detto su Horus,
Un autore greco sofista di nome Eliano, del III secolo d.c., affermava che il piumaggio nero esprimesse le parole non ancora dette, le bianche quelle espresse.
Thot era l’Hermes dei Greci, quindi il messaggero, l’anghelos degli dei e degli uomini.
L’ibis anche, in analogia col Hermes greco, considerato come animale psicopompo, come del resto Thot stesso lo era.
L’ibis avava relazione persino con la Luna o meglio con le sue fasi, probabilmente sempre per via del suo piumaggio e per il fatto che a seconda della prospettiva visiva con cui si vedeva questo uccello, apparisse come la luna nelle sue diverse fasi.
Thot fu rappresentato con la semiluna sulla testa.
L’ibis fu anche utilizzato come ipostasi osiridea, come emblema della ressurezione di questo, in analogia con la Luna che da nera appare nel cielo come simbolo ciclico di morte e rinascita.
Come l’angelo custode della tradizione cristiana, l’ibis presso gli egizi, per la sua natura psicopompa porta a nuova vita l’anima del defunto accompagnandola davanti alle divinità giudicanti le opere da vivo.
La considerazione degli Egizi per questo animale deriva anche da motivi pratici, mai mancnti presso la saggezza antica, di utilità per l’uomo.
L’ibis era ritenuto, in particolare, un uccello che predava i serpenti, specie quelli velenosi.
I sacerdoti egizi evocavano gli ibis, una volta che la piena del Nilo fosse ritirata, proprio per far si che i contadini non venissero morsi dai serpenti velenosi1.
Veniva anche considerato un ottimo spazzino di quei piccoli animali che giacevano morti a causa della piena del Nilo nel letto stesso e che con la loro decomposizione avrebbero potuto provocare pestilenze, ma sopratutto la proliferazione di quella piaga che è rappresentata, ancor oggi, dalle mosche.
Per questo motivo era ed è proibito uccidere l’ibis, perchè considerato gesto sacrilego.
Agli ibis, gli egizi, come per altri animali sacri, diedero l’onore della mummificazione e venivano poi inumati a Hermopoli, città sacra a Thot.
A Menfi, invece, venivano posti in vasi particolari di forma conica: vale la pena verificare come il cuore, anzi una delle tre forme di rappresentazione del cuore, quello chiamato Ib , fosse rappresentato proprio da un vaso e che nell’espressione delle nostre parole, ancor oggi si esprime il contenuto di certe emozioni del cuore, come colmo di o pieno di qualcosa.
Non stupisca che tale visione sia rafforzata anche dalla posizione raccolta dell’uccello mentre riposa che assomiglia ad un vaso.
Nella iconografia cristiana l’ibis conservò l’aspetto del “Verbum incarnatus est”, quindi del Cristo parola divina e saggia, sgorgata dal cuore di Dio.
Precisiamo che tale visione fu piuttosto confinata nel gnosticismo cristiano che non nella diffusione più ampia, questo anche perchè la culla dello gnosticismo fu prevalente nel nord Africa e nel Medio Oriente.
Spesso è difficile poi giudicare dalle rappresentazioni se si tratti dell’ibis o della mitica Fenice, anche se talvolta risulta abbastanza sostanziale tale differenza, al punto che si potrebbe affermare con sicurezza che si tratti dell’ibis, come nel caso dell’antica basilica dedicati ai santi Cosma e Damiano a Roma.
L’ibis fu anche considerato emblema del maligno per via della sua abitudine a nutrirsi di carogne, in questo caso fu l’emblema della corruzione e dei vizi e delle abitudini malsane e devianti.
1 Invitiamo a meditare sull’analogia con la fiaba nord-europea de “Il pifferaio magico”.