Filosofia della Spagyria: teoria della luce e del colore
La Luce, come scientificamente intendiamo oggi, è quell’intervallo di lunghezza d’onda che si trova compresa tra 400 e 700 nanometri (nanometro= un miliardesimo di millimetro) che coincide con lo spettro del visibile, ovvero quella radiazione che raccolta dall’occhio viene trasformata in impulso elettrico.
La variazione della lunghezza d’onda della luce fa corrispondere un diverso impulso elettrico che viene “interpretato” dal cervello.
La conseguenza di questa traduzione da un piano sottile (vibrazione luminosa) ad uno più grossolano (impulso elettrico) comporta che l’esperienza luminosa possieda una parte che, possiamo definire, oggettiva e una soggettiva.
In pratica una determinata esperienza luminosa da una parte “scatena” delle reazioni endocrine specifiche e globali in tutti gli uomini, dall’altra comporta una reazione soggettiva che è direttamente in relazione a piani di natura esperienziale ed educativa dell’individuo.
Va sottolineato infatti che noi non vediamo la luce ma i suoi effetti, che sono in gran parte, appunto, soggettivi.
Infatti se prendiamo i concetti espressi dai greci riguardo alla esperienza luminosa, per esempio la visione omerica, troviamo che determinati sostantivi o aggettivi che descrivano l’esperienza luminosa dichiarano una diversa sensibilità verso l’evento luce dell’uomo dell’età omerica.
P.e. il termine greco che noi traduciamo col termine “verde” è cloròs, ma con questo termine troviamo definiti manifestazioni di natura che, nella nostra esperienza, non possiamo certamente collocare nella nostra concezione del “verde”: il miele, la rugiada, le lacrime, il sangue.
Il mare non era kyanos (blu) per i greci, ma semmai del “colore oscuro del vino”, oppure color grigio ferro, grigio bronzo, scuro, bianco e grigio.
Così pure i capelli di Ettore erano definiti kyanos, sicuramente, non indicando il colore che noi crediamo di intravedere, ma semplicemente esprimendo un colore scuro.
In effetti gli antichi concepivano in maniera analogica il colore, ovvero, questo non era tanto un’ espressione qualitativa dell’apparire, quanto funzione di un determinato stato indotto dall’esperienza del colore sul piano esperienziale e sensazionale profondo.
Anche noi utilizziamo in maniera sensazionale ed esperienziale questo modo di vedere i colori; infatti definiamo “verde” di rabbia l’individuo che sperimenta una sensazione interna che corrisponde fisiologicamente ad un eccesso di succhi biliari rilasciati dal fegato nella vescicola, ma analogamente si dà il colore rosso per indicare un’altra manifestazione indicante la rabbia espressa, che si evidenzia con un rossore dovuto alla vasodilatazione.
Se l’occhio riceve la somma di tutti i colori il cervello riceve il colore bianco.
L’occhio non ha recettori per tutti i colori ma attraverso tre sensori selettivi, chiamati coni, per soli tre colori: blu, verdi, e gialli.
Due colori complementari più il “neutro”.
La percezione degli altri colori avviene per costruzione a partire dalla combinazione dei tre summenzionati.
Il colore giallo (580 nanometri) esiste per riflessione.
Ma si vedrà il medesimo colore se si mescolino, p.e., una miscela di verde (490-570 nanometri) e rosso (620 nanometri).
Esistono infinite coppie di colori complementari: quando uno dei due appartiene alla zona delle lunghezze più corte (azzurro-viola), il complementare sarà nella zona delle lunghezze lunghe (giallo-rossi).
I complementari dei verdi non esistono.
Esistono altre proprietà ottiche interessanti che riguardano l’esperienza dei colori.
Una fra tutte è quella che se si entra con due oggetti uguali nella forma, ma uno bianco e uno della medesima lunghezza d’onda diffusa nella stanza, entrambi ci appariranno egualmente bianchi.
Questo ci conferma che il bianco è la massima espressione nella manifestazione, per quanto riguarda la Luce.
Goethe affermava, nella Teoria del colore: “l’occhio nasce alla Luce per la Luce”.
E quindi non solo nasce per la Luce, ma anche, a condizione che ci sia Luce.
Al buio l’occhio non si può formare.
Quindi evidentemente se la luce modifica le sue condizioni, l’occhio modifica le proprie.
In geroglifico dell’occhio è
= una bocca che parla di Sole , l’occhio come specchio dell’Anima.
La terapia luminosa
La tradizione antica utilizzava come fonte luminosa la luce solare.
Questa poteva essere utilizzata direttamente sulla persona in determinate ore che tenevano conto delle disfunzioni in termini archetipali.
Oppure in maniera più o meno indiretta: attraverso la solarizzazione dell’acqua attraverso la seta, colorata con colore naturale,
attraverso i vetri polarizzanti (come quelli delle cattedrali gotiche), attraverso le ore planetarie.
Con questo sistema si possono utilizzare le sfumature di colore che la luce solare porta con sé al variare delle ore della giornata.
Infine si può utilizzare lo schema radionico o quello delle ore planetarie in analogia con i vasi energetici ecc..